La vita

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

Salvatore Quasimodo

mercoledì 22 febbraio 2012

RADICI IMMORTALI

Ieri - ultimo giorno di carnevale - dopo i consueti festeggiamenti, la mano mi correva veloce sulla tastiera sembrava non volersi più fermare. 
Mi sono dilungata troppo lo so  -  nel comporre questo post - mi perdonerete? Avrete la pazienza di leggerlo fino in fondo?  Magari con un buon bicchiere di Lambrusco in mano, ah no oggi è il primo giorno di Quaresima: astinenza e digiuno e acqua:                              

Quel giorno di Natale di dieci anni prima, Nonna Carolina aveva appena compiuto novant’anni e come sempre il raduno di famiglia stava per compiersi ancora una volta attorno a Lei.
Un matrimonio felice e prolifico le aveva dato dodici figli. Oggi gliene restavano tre, che a loro volta l’avevano resa nonna e poi bisnonna, e ora i tanti nipoti e i piccoli pronipoti le stavano intorno come per salvaguardare la sua persona, la sua ormai evidente debolezza fisica che però non scalfiva la forza che traspariva dai suoi occhi azzurri ancora vispi e il suo sguardo penetrante, lo stesso sguardo acuto con cui attirò l’attenzione di Giovanna, la più grande della schiera dei nipoti. 

Il grande prato era stato dapprima recintato con una bruttissima rete di plastica arancione, poi livellato da una ruspa gialla che lo aveva percorso per tutta la giornata in lungo e in largo, i cingoli che penetravano la terra. Un grosso camion, arrivato con fragore e stridio di freni,
aveva scaricato un altro mostro di ferro dal colore indefinito, che portava sul davanti, come grosse fauci, denti di lugubre fattura, mentre un ometto vestito di arancione lo aveva cavalcato e, spostandosi goffamente avanti e indietro, aveva iniziato a scavare e scavare. Penetrava nella terra violandola e scavando ancora e ancora, muovendosi coi piedi pesanti. All’improvviso il mostro si bloccò con fragore, seguito dall’imprecazione rabbiosa del suo cavaliere: il lavoro di scavo si era bruscamente interrotto, che cosa era successo?
L’omino scese a terra con un balzo chiamando a raccolta i suoi aiutanti, cercando di capire il motivo che poteva aver causato l’improvviso blocco del mostro.  
Gli uomini si accorsero stupiti che attorno ai denti mostruosi della pala scavatrice erano avvolte lunghe radici incrostate di terra e costellate di grappoli carichi di minuscoli acini ormai prossimi alla maturazione che li fissavano come tanti piccoli occhi. Armati di grosse cesoie, gli uomini chiamati per liberare il mostro d’acciaio non riuscivano ad avere ragione delle radici, avvinghiate al ferro con tutta la loro forza. 

Il regalo che Nonna Carolina fece a Giovanna in occasione del Natale, era un quadernetto con la copertina nera lucida, il suo DIARIO, il diario di una vita.
Giugno
……… con il permesso delle nostre madri, oggi io e le mie amiche siamo potute andare a correre fra i filari, a sbirciare fra i rami se era già arrivato il momento di rubare alcuni grappoli di uva … forse non è ancora matura, siamo soltanto a giugno e finalmente le scuole sono finite.
Luglio
………ogni giorno, quando ho terminato di aiutare nelle faccende di casa, ho il tempo di andare a passeggiare sola soletta nella grande vigna che abbiamo dietro casa e che costituisce, come dice sempre mio padre, il nostro pane, la vita per la nostra famiglia.
Dalla finestra della mia camera la posso ammirare nei giorni in cui non ho molta voglia di fare i compiti, ma sono molto più felice quando mi è concesso di andare a passeggiare tra i filari, di nascosto togliermi le scarpe e sentire la terra sotto ai piedi nudi, quella terra che da ormai tanti anni permette alla mia famiglia di vivere e sfamarsi con il frutto di quei rami alimentati dalle radici a loro avvinghiate.
Agosto
………Nella mia quotidiana perlustrazione della vigna, sempre alla ricerca di un grappolo d’uva da mangiare di nascosto, vedo crescere fra le grandi foglie verdi, i grappoli, ora bianchi ora neri. Ogni giorno scelgo filari diversi: oggi quelli dalle foglie più brune, ieri fra foglie e grappoli dal colore dorato e luccicante, domani… chissà … ogni giorno una scoperta.
Ma quelli che più eccitano il mio palato e il mio naso sono i grappoli che fanno capolino dalle foglie grandi e carnose dei due filari all’estremità della vigna: ho sentito dire da mio padre che il loro vino piace alle donne perché il sugo di questi acini rosei tendenti al rosso, manda inebrianti effluvi di fragola.
Le mie incursioni pomeridiane, anche a volte per sfuggire ai doveri di casa, mi portano sempre là, nella vigna, il sole a picco sulla testa, le cicale che esprimono al massimo le loro qualità canore. Nei meandri odorosi degli acini rotondi neri e violacei e della terra sempre fedele ai suoi uomini, il tempo si ferma, tutto è apparentemente immobile, mentre culla la lenta maturazione dei grappoli.
Ad agosto tutto sembra immobile, è percepibile solo l’energia vitale della terra, energia forte,
materna.... 
Settembre
……… fra tutti i componenti della famiglia esplode l’euforia, si invitano gli amici e i parenti, e si dà inizio alla vendemmia: è iniziata la grande festa, si raccoglie il prezioso frutto di tanti mesi di lavoro. Gli uomini della famiglia hanno sapientemente potato i tralci, tolto quelli in eccesso, risparmiato i più giovani, tagliato quelli più vecchi che avevano concluso il loro ciclo vitale.
Gli attrezzi erano già pronti, allineati sotto il portico, cesti, bigonce, scale, forbici. Noi bambini abbiamo il permesso di portare i cesti più piccoli, e la sera, quando arriva il carro trainato da due cavalli per la raccolta dell’uva appena vendemmiata, per noi è una festa: possiamo salire a turno, in groppa a quei due pazienti animali e attendere che il carro sia pieno di uva. Solo allora il barocciaio riprende le redini e riparte, alla volta della Cantina, accompagnato dal suono degli zoccoli sui ciottoli.
Per tutta la giornata i cavalli, il barocciaio e il carro hanno fatto la spola fra le vigne e la Cantina, che risplende ora ai raggi del sole mattutino ora al sole di mezzogiorno, o, come adesso, agli ultimi raggi del tramonto sprigionando da quegli acini succosi lampi di energia e forza vitale.

Il 24 dicembre, vigilia di Natale, soffiava un’aria gelida che quasi toglieva il respiro, un manto di brina era sceso durante la notte e aveva coperto con un velo di glassa ogni cosa, le ringhiere dei balconi, le piante del giardino e il tappeto di foglie che mandavano sinistri scricchiolii ad ogni passo. Aveva immobilizzato tutto il lugubre paesaggio che si vedeva dalla finestra del mio studio: le braccia di ferro, un tempo dipinte di arancione, apparivano ora arrugginite e scarne in tutta la loro altezza e immobilità, assi di legno inchiodate fra loro a delimitare un immaginario perimetro, trafilati di ferro che spuntavano dalla gettata in cemento armato come enormi aghi, cilindri di metallo appoggiati su finte gambe. Si erano fermati anche le betoniere che nei giorni precedenti avevano fatto la spola fra il cementificio e il cantiere riversando su quella terra, ormai violata e ferita nel profondo, enormi quantità di liquido grigio che si spandeva solidificandosi fino nelle più piccole fenditure. La grande vigna non esisteva più: affacciandomi alla finestra, non avrei più visto la distesa dei filari che, anno dopo anno, mi annunciavano, con il colore delle foglie, il cambiare delle stagioni; non avrei più sentito il vociare della festa della vendemmia, non avrei più vagato in estate fra i filari a piedi nudi, non avrei più rubacchiato gli acini dai grappoli non ancora maturi. 

L’alba del 7 gennaio si faceva strada a fatica nella notte gelida dell’ultimo giorno di vacanza, lievi chiarori si profilavano da est, raggi di un sole invernale sempre più nitidi che pian piano illuminavano il freddo asfalto, gli alberi ghiacciati sotto il manto di brina, poi su su a illuminare la baracca di metallo che durante la pausa pranzo ospita i manovali del cantiere, già pronti a riprendere il lavoro, le tute colorate, i chiodi di ferro che sembrano voler ferire le mani già provate da tante ore di lavoro al freddo. A un cenno del capo cominceranno la salita: su, sempre più su, al primo al secondo al terzo al quarto piano dello scheletro lasciato incompiuto prima delle ferie natalizie e che ora li attende. Europa dell’est … Nord Africa … uomini e linguaggi tanto diversi, ma accomunati da un'unica necessità: il lavoro per mantenere le famiglie. Le impalcature sembrano brillare di una nuova luce al tiepido sole invernale, il metallo gelido sembra essersi trasformato in rami e foglie di ogni colore. Ma i nostri contadini non usavano l’olmo o la quercia o il faggio per appoggiarvi le viti? Chi, durante queste feste di Natale, ha fatto crescere una vite su una impalcatura di ferro? Lo stupore degli operai è sempre più grande, attendono ordini dal capo, quei rami gracili e flessuosi destinati da madre natura a sorreggere i grappoli di acini succosi e dolci reggeranno il peso di tanti uomini? 
Iniziano la salita, e ad ogni piano della casa che verrà, trovano appoggiate sulle travi di cemento armato ben sistemate bottiglie, bottiglie e ancora bottiglie di vetro scuro, a proteggere il nettare in esse contenute, il tappo di sughero, una colorata etichetta. I più ardimentosi si avventurano, e inizia così la loro giornata di lavoro, al freddo, scaldati da un tiepido sole invernale e da un prezioso nettare. Ai loro piedi, non più una fredda impalcatura di acciaio, ma rami di vite scaturiti da un terra prima ferita poi riconciliata con l’uomo.

E quel giorno fra gli anziani che stazionano sulle panchine vicine, ad osservare gli instancabili lavoratori del cantiere, c’è chi giura di avere sentito nella notte lo scalpitare di cavalli, zoccoli battuti sulle pietre del sentiero, e voci che cantavano:

Ragaz gni chè ch’av vòi fer sintir
un bel scalfiròt ed cal vein genuin
ch’i fan a Mòdna e al va dapertòt
ch’al spoma gaglièrd e ch’al
s’ciama Lambròsch








Ragazzi venite qua che vi voglio far sentire un bel bicchiere (–  delle dimensioni di uno scarpetta da neonato - )  di quel vino genuino che fanno a Modena e va ovunque che spuma gagliardo e che si chiama LAMBRUSCO
 -  Testo di Roberto Vaccari  - Musica di Don Mauro Campani   -  Armonizzazione Don Ezio Nicioli  -


Variazione

Non vorrei creare scompiglio fra i miei fans......... ma  avendo oggi trovato una mia foto  che mi ispirava di più di quella precedente, l'ho sostituita. Così eccomi  in veste da turista  ritratta  come tutti i turisti che si rispettano davanti ad un tipico tram di Lisbona.
E scagli la prima pietra chi andando nella capitale portoghese non si è fatto una foto con il lillipuziano tram.
Buon pomeriggio

venerdì 17 febbraio 2012

Eccola di nuovo...... vestita e svestita














Necessitava di un approfondito restauro e
per  alcuni anni l'abbiamo vista così  vestita,  l'artista Mimmo Palladino  le ha cucito addosso, per l'occasione,  questo bel'abito.
Vederla da vicino, camminando sui ponteggi  utilizzati dai restauratori, e poter ammirare ogni sua parte decorata,  è stata per me una grande emozione, mi sembrava di essere davanti alle pagine di un libro di storia di vita di una comunità che circa 1000 anni fa l'ha voluta e costruita.



In  settembre dello scorso anno abbiamo provato una nuova emozione: rivederla così:  bianca, alta, slanciata  con  vezzose decorazioni rosate,  con gli animali di pietra che le fanno la guardia..
E per dirla come  Sandrone:
"tgnìrs-e strèc a cla piòpa èlta, sàca e slanzèda ch'la -s ciama  GHIRLANDEINA" 


"TENERSI  STRETTI  A QUELLA  PIOPPA ALTA MAGRA E SLANCIATA CHE SI CHIAMA 
 GHIRLANDINA"
(per ragioni di traduzione il Pioppo è stato ridotto al genere femminile)

La Famiglia Pavironica e la Ghirlandina


Come ogni anno, da tempo immemorabile il giorno di giovedì grasso arriva, in città dal ridente paesino agricolo di Bosco di Sotto,  - che potrete trovare sulla carta geografica solamente con gli occhi della fantasia - la Famiglia Pavironica composta dal capofamiglia  Sandrone Pavirone, la moglie Pulonia e il loro figlio Sgorghiguelo accanito tifoso del Modena calcio.
Dopo un bagno di folla  e di bambini mascherati,  nel tragitto dalla stazione a Piazza Grande, dal balcone di Palazzo Comunale Sandrone pronuncia il tanto atteso sproloquio in dialetto/italianese stretto, rivolto alla cittadinanza. Ne riporto di seguito  alcune righe dedicate come sempre alla nostra Torre  Campanaria: la GHIRLANDINA.



Sandrone.: Mudnés ed Mòdna, mudnés ed l’èlta, ed la basa e dedlà da l’aqua,mudnés ingherlî dal frad Siberian e dessuplî da la néva,Zemian fort come el quérzi del nostri campagn e antigh de storia come al noster balsàmich, zitadein chersû sàtta la Ghirlandèina e ragazô nê a l’ambra dal tlòun ed Paladino, Mudnés D.O.S.(a denominazione d’origine straniera), mutinensi singol, divorzièe, coppie di fatto, e pensionèe ch’avî spusèe la badante, a-v salut tótt quant in masa.
A sam rivèe ed corsa chè in piaza Granda perché a-n vdiven l’óra ed vàder la nostra tárr finalmeint desvistida dal tlòun dla discordia.
Zemian, guardèe s-l’e bèla! Dio la strabendéssa. A gh’è vlû tant quatrèin e quatr’an ed lavor mò adèsa la pol propria fèr la stimleina la nostra Ghirlandèina.
Traduco:
Modenesi di Modena, modenesi dell'alta (montagna) e della bassa al di là del fiume, modenesi irrigiditi dal freddo Siberiano e disotterrati  dalla neve, Geminiani (da S.Geminiano patrono della città) forti come le querce delle nostre campagne e antichi di storia come il nostro aceto balsamico, cittadini cresciuti sotto la Ghirlandina e bambini nati sotto il telone di Palladino (telo che ricopriva i ponteggi durante il restauro), modenesi D.O.S. ( a denominazione d'origine straniera), modenesi singoli, divorziati, coppie di fatto e pensionati che avete sposato la badante, VI saluto tutti insieme.
Siamo arrivati di corsa in Piazza Grande perchè non vedevamo l'ora di ammirare la nostra Torre finalmente svestita dal telone della discordia.
Geminiani guardate com'è bella! Dio la benedica. Ci sono voluti tanti soldi e quattro anni di lavoro ma adesso può proprio fare la "stimolina" la nostra GHIRLANDINA!

martedì 14 febbraio 2012

ICARO - Eccolo di nuovo..........



Non è mia intenzione tediarvi di nuovo con ICARO, che avete già letto su Soffio, ma è soltanto per "uso archivio" - e qui confesso prende il sopravvento il mio passato da impiegata ordinata trascorso dietro ad una scrivania -

“Sensazioni ed Emozioni”
Ovvero
Volando, come novello Icaro, sul volo AP2981 da
Lamezia T. - Bologna

Sabato 18 del mese di …. Ore 12,45. Fatto il controllo, o chek in, come si dice adesso, consegnate le valige, passata sotto la gogna elettronica che ti legge e svela i più reconditi segreti custoditi nel bagaglio a mano, mi sistemo con il giornale che faccio finta di leggere, in una poltrona della sala d’attesa davanti all’uscita…..l’unica che c’è essendo Lamezia un piccolo aeroporto, cerco di darmi un contegno di viaggiatrice vissuta, consapevole che ormai giunta lì non posso più tornare indietro, il tasso di adrenalina  ha cominciato a salire lento e  inesorabile. Attendo paziente, il giornale davanti a me,pensando alla nuova avventura che mi aspetta, una voce, quella di mio marito che mi consiglia di girare il giornale, l’avevo a rovescio!
Una nuova avventura dunque di circa un’ora e mezza su di un “aeromobile” come  vengono chiamati adesso gli aeroplani di vecchia conoscenza, o meglio “in zema ad un aeroplan” come avrebbe detto mia nonna Sofia, che degli aerei aveva solo nefasti ricordi bellici.
Sistemato dunque il quotidiano per il suo giusto verso,  sfoglio lentamente le pagine, i soliti articoli  politica,  tempo,  economia…  che noia, ancora avanti, ed io curiosa  delle notizie  citate nei trafiletti, ne scorro alcune, “Cane che azzanna il padrone” “Rapina all’ufficio postale di Roccacannuccia” “Cento paia di scarpe sequestrate” e  quella notizia che mai avrei voluto leggere.”Aereo di linea precipita in Campania con 80 passeggeri a  bordo, tutti salvi”….  Meno male che qualche volta c’è anche il lieto fine.   Si apre il cancello d’imbarco e una hostess sorridente  ci invita a salire sull’aereomobile appena  arrivato da Bologna, sarà lo stesso che ripartirà fra un’ora circa, confido allora nei tecnici che facciano seri controlli, nei benzinai che facciano il pieno (lassù non esistono distributori di benzina), nel comandante che sia ben sveglio.
Mi sistemo, mi allaccio la cintura e aspetto paziente, in sottofondo il rumore dei motori già accesi, ben sistemata nel mio piccolo sedile, cerco di darmi l’input per una meditazione, schiena ben appoggiata, gambe senza tensioni, “si pregano i signori passeggeri….”le mani aperte ben appoggiate sulle coscie, il mento indietro, la nuca ben stirata,  un tonfo mi fa capire che è stato chiuso il portellone,  il respiro lento deve scorrere nel canale principale dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto, sento però che trova  degli ostacoli,  insisto eccolo entra dal naso ed esce dalla bocca. “I signori passeggeri sono pregati di spegnere i cellulari” e chi pensa a telefonare in questo momento? 
Attraverso gli occhi socchiusi scruto una hostess fare la dimostrazione delle misure di sicurezza da adottare in caso di emergenza,  ma chi riesce a memorizzare? 
Riprendo il mio respiro, l’aereo rulla in fondo alla pista,  dall’oblò vedo scorrere l’asfalto grigio su cui sono dipinti strani segni colorati, ecco il momento è arrivato, i motori sono al massimo, nella mia testa rimbomba un rumore assordante che annulla qualsiasi capacità di pensiero,  mi ci trovo immersa, il cuore batte un po’ più forte, ecco che l’aereo  con un balzo repentino spicca il volo e la terra sotto di noi diventa piccola piccola, il grande bestione alato si libra nell’aria, su su, sempre più in alto.
L’atmosfera soporifera che si respira mi tiene in un sonno benefico e consolatorio, è inutile che continui a meditare sul senso della vita, mi abbandono e dormo cullata dal rumore dei motori che a fatica vengono sovrastati da suoni gracchianti che ora provengono dall’altoparlante, “signore e signori è il comandante che vi parla” TUFF (il mio cuore si fa sentire) “per darvi il benvenuto a bordo” Ah meno male! “vi informiamo che  stiamo volando a  novemila metri di quota” TUFF….TUFF… “a una velocità di crociera di novecento chilometri orari” tuff. tuff… tuff… “l’atterraggio è previsto a Bologna  alle ore quindici”
Mi riprende una grande voglia di dormire, ma  dopo poco “stiamo cominciando la discesa” dico a mio marito, che incredulo ribatte “già che lo sai, potresti chiedere di fare da secondo pilota”
In quel momento la solita voce gracchiante, questa volta dell’hostess che prega i signori passeggeri di “allacciare le cinture è iniziata la discesa”! La mia adrenalina un po’ assopita durante il volo ha avuto una nuova impennata così come il mio spirito. “il comandante prevede l’arrivo all’aereoporto Marconi fra circa dieci minuti”. Ecco ci siamo mi sistemo nuovamente sul sedile “seduta bene” come dice la mia insegnante di yoga, schiena ben appoggiata allo schienale, cervicali ben distese, respiro profondo, mani rilassate,  possibilmente non contratte a stringere un rosario. Socchiudo l’occhio sinistro che è dalla parte dell’oblò e  toh! chi vedo, un angelo seduto su di una spumeggiante nuvoletta a forma di cigno che mi osserva e mi sorride, faccio uno scatto in avanti  spalancando anche l’altro occhio, due vedono meglio di uno, ma loro sono già scomparsi e un forte attacco di nausea mi fa ritornare nella posizione yoga, cinture allacciate e lascio il mio destino nelle mani  del comandante.
Il rombo dei motori è sempre più assordante, mi sento schiacciata contro il seggiolino come se fossi una sogliola (la prima volta, nella mia vita, così magra) o meglio come una soppressata ferrarese. Sbircio, con gli occhi a fessura, fuori dall’oblò e chi si vede? Un contadino sul suo trattore che sta lavorando nei campi, ma non capisco bene: come mai i campi sono obliqui sopra la mia testa e non piani come tutta la campagna normale? Ah è vero sono su di un aeromobile e forse da queste macchine infernali il mondo si vede  obliquo. Vorrei chiedere a mio marito se anche lui vede come vedo io, ma ecco la casa del contadino, la moglie  sulla soglia che fa cenni di saluto verso il cielo saluta me o scaccia le mosche? Mah  non lo saprò mai, improvvisamente il panorama  ridiventa orizzontale compare  un nastro di asfalto… oddio, siamo entrati in autostrada? Un forte sobbalzo mi fa perdere la concentrazione yoga,  colpa delle ruote che hanno toccato la pista non l’autostrada, siamo atterrati, una grossa frenata e l’aereomobile  si  ferma seguito da  un forte  applauso liberatorio dei passeggeri, a dimostrazione che non sono la sola ad avere paura. Respiro profondamente, decontraggo le mani dai braccioli e mi preparo a scendere. Raggiunta la scaletta rivolgo un caloroso saluto al comandante, impeccabile nella sua divisa, e potrei quasi saltargli al collo per baciarlo, ma non vorrei essere fraintesa, forse non mi crederebbe  se gli dicessi che non è un’avance ma solo un ringraziamento per lo scampato pericolo.
Ritrovo l’uso delle gambe e scendo la scaletta, arrivata all’ultimo gradino, lascio cadere il mio bagaglio a mano rischiando l’incolumità delle ceramiche  in esso contenute e mi inginocchio a terra baciando quell’asfalto che di terra ha ben poco, ma è il gesto che conta e mentre fra me e me rispolvero una vecchia preghiera di ringraziamento mi giunge una voce da dietro: “sorbole ma chi la crad d’eser, al Pepa?” Ecco a chi ho rubato il gesto, al Papa anche se lui la terra la baciava con intenzioni di fratellanza e amicizia con i popoli, io l’ho baciata perché paura fa 90!
Salita sul bus, non capisco perché mio marito si sia allontanato da me, forse si vergogna di avere una moglie  che imita il Papa? E  come mai, mi domando,  tutti  mi guardano di sottecchi? Perché è così ridicolo che  una persona baci la terra dopo un volo in aereo? Finchè una signora più gentile delle altre mi offre uno specchietto e un fazzoletto affinché mi pulisca il viso da quei baffetti neri che l’asfalto  mi aveva lasciato sul viso!!!!....
Attraverso i finestrini del bus vedo il mondo circostante di nuovo nella sua rassicurante e tradizionale posizione   e in fondo alla pista l’aereomobile  (o “aeroplan” come diceva mia nonna)  che ammicca come per invitarmi, Novello Icaro, ad un nuovo viaggio.




sabato 11 febbraio 2012

Aggiungi un posto a tavola


Dapprima timida si avvicina a Soffio mantenendosi sulle zampe piegate - quasi per non farsi notare  -  poi percepita l'accettazione da parte del commensale  inizia a fare delle avances.
 Otterrà qualcosa di buono? Questo rituale di  rinnova ad ogni pasto, a volte per poter mangiare in pace viene allontanata e allora mette in moto la colonna sonora dei miagolii a oltranza......
Tengo a precisare che le piace  ogni cosa le si offra e  non si può lasciare nulla di commestibile incustodito perchè si può essere certi di una sua visita!

Il Generale inverno e gli alberi del mio giardino

Il pruno selvatico, l'alloro, il bosso, il glicine, il pino, i tigli, i bagolari  (meglio il celthius australis), così come gli alberi di pere nella nostra campagna, sono scheletriti e impietriti davanti a tanta forza del Generale inverno.
Ma io so che non mi tradiranno e che anche quest'anno ritorneranno ad essere splendidi frondosi e carichi di gustosi frutti  all'apparire della primavera.

venerdì 10 febbraio 2012

La mia quattordicenne brontolona



Risponde al nome di Chicca - ma il suo vero nome è Anita.
Fino ad alcuni anni fa aveva un marito - a pelo rosso, dolce affettuoso che amava il piccolo schermo al punto di sdraiarcisi sopra facendo ondeggiare la coda sulle notizie del TG preferito -  Garibaldi si chiamava,  è passato a miglior vita a soli 7 anni.
Anita dicevo: Classe 1998 - marzo - di origini montanare, per essere più precisi di un ridente paesino dell' appennino emiliano quasi al confine con la Toscana. Piccolotta, zampe corte, riunisce nei colori  del suo pelo le varie provenienze  genetiche degli avi,  dal mento alla coda - in  tutta la panciotta  è di colore bianco morbidissimo, cosi come le zampe - tanto che sembra avere quattro stivaletti antineve anche se lei  - casalinga sfegatata - di neve ne ha vista ben  poca, forse dalla porta del balcone da dove punta gli uccellini che vengono a mangiare il pane in questi tempi di freddo polare.
Da un anno a questa parte MIAGOLA  Miagola miagola sempre anche durante  la notte. Sarà la vecchiaia?
Mah  non so dare una spiegazione a questo comportamento della mia quattordicenne brontolona,  mi gratifica tanto però quando rientro a casa e me la ritrovo dietro la porta  accogliendomi  con un lungo Miaoooooooo!
 Avrà  sentito la mia mancanza o avrà la pancia vuota?

Dedicato a mia madre

Discreta, mai invadente, paziente con tutti, a partire da mio padre con il quale condivide la vita ormai da 70 anni - si  è  così da 70 anni stanno insieme -  e volete che non le dedichi il mio post di oggi? 
Mia Madre si chiama Anna.

Come  una  cascata……  i    ricordi   mi hanno   sommerso…..

Mi  ricordo  di quelle  rose  blu  di cui  era  cosparso  il  bianco prendisole  di  lino   che  indossavi  soltanto  la  domenica  pomeriggio quando  in  giardino, voi  adulti  vi  trovavate   a  parlare,  dopo il  riposo e  dopo che  il caldo si  era  attenuato  e   noi  bambini  giocavamo,  giocavamo però  in  modo  diverso dagli altri giorni,  era   Domenica!

Mi  ricordo  dei pomeriggi  d’inverno,  sul far della  sera, prima  che  papà  arrivasse  a  casa dal lavoro,  ti  concedevi un  breve  riposo, in poltrona,  leggendo  un  giornale  ed  io  allora  mi  venivo a  sdraiare  sulle  tue  ginocchia  e  lì il  silenzio  la  faceva  da  padrone,   rotto  soltanto  dal  tichettio   della  pendola  che  camminava, camminava     nella  sera  che  ormai  incalzava………

Mi  ricordo  del  tuo  impegno  a  preparare  il  baule  che   doveva  contenere   tutto  quanto  sarebbe  stato necessario per  la  nostra  vacanza  a Gabicce   ormai  alle porte,  finalmente……..che  felicità……si  partiva,  mancavano  ormai  pochi  giorni.

Mi ricordo  di una  manovra  maldestra  con la  bici   azzurra,  regalo  della  Prima  Comunione,  sulla  ghiaia  in fondo  a  Via  Fontana, le  ginocchia   sbucciate,  il  mio pianto  sconsolato  e  la  tua  corsa  per  venirmi a   soccorrere………

Mi  ricordo  del  dolore  che  mi  provocava  il  distaccarmi  da  te  quando mi accompagnavi  in classe  in prima  elementare  in Via  del  Gambero,   per   affidarmi  a  quella  zitella  becera  della  maestra………

Mi  ricordo  delle  favole  che  mi leggevi  quando  ero  ammalata   e  il  Dott.  Gandolfi  aveva  ordinato  che  dovevo stare  a  letto  perché  solo  così  la  febbre  sarebbe  passata…..

Mi   ricordo  della  mia  bocciatura  in  prima  media,  ho  capito  da  grande  che  forse  per  te e   papà è  stato  un grande  dispiacere…… dopo  però  a  scuola  sono  sempre  stata  bravina!!!!

Mi  ricordo  dell’orgoglio  che  suscitavano in me  i  commenti  delle  mie  amiche   quando  indossavo  un  nuovo  vestito che  tu mi  avevi  fatto  con  i ferri……….

Mi   ricordo  dell’acquisto  del  mio primo vestito da  sera,  bianco e argento…….  Chissà   a  che  cosa  avrai  dovuto rinunciare  quel  mese  per  sostenere  quella   spesa  straordinaria………

Mi  ricordo  delle  fatidiche  parole  che  hai  pronunciato  quasi  31 anni  fa:  “hai visto che qui di  fronte  è venuto  ad abitare  un  giovanotto,  perché  non cerchi  di  conoscerlo?”   Ed  io  che  cosa  ti  ho  risposto?  “  ma  l’hai  guardato  bene?  Sembra   un prete! …….  Bene   poi  sai  com’è  finita…….

Mi  ricordo  della  sera   in  cui,   io  e  il  mancato  prete  di prima ,  Vi  abbiamo  annunciato  che  sareste  diventati  nonni  e tu  allora rivolta alle mie sorelle:  “Beh,  su  non  andate  a  dare  un  bacio  a  vostra  sorella ?”………….  


Ricordi ricordi ricordi,  potrei  scriverne  ancora  per  tante  pagine…………

                                                                                                                            


giovedì 2 febbraio 2012

Sardegna - Dedicato al vento


Parliamo un pò di Sardegna e del mese di Agosto per contrastare questi giorni della "Merla"

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Non  saprei  dire a che ora  sia  arrivato,  ma è arrivato nel cuore  della notte, questo  forte   vento  di  maestrale,  spazzando  via  e  interrompendo  i miei  sogni  di questa notte di  S. Lorenzo, limpida, piena  di stelle   cadenti  come una pioggia  di desideri  da  esprimere  e di  speranze  di  essere   esauditi.                                                                                                                                       Viene  da  lontano per  raccontarmi  storie  di  genti, fatti   accaduti e  che  forse  possono  solleticare  la  mia  fantasia.  Si  è presentato  nel  solito  modo,  da  quando  sono  qui  a  Cala  Liberotto, facendo  cigolare  piano  piano  poi   sempre  più  forte   i piccoli bastoncini della  tenda sulla  veranda  sui cui si affaccia  la  mia  camera,  sempre  più  insistente,  non  volevo  svegliarmi, mi sentivo  cullata, coccolata, poi un po’  infastidita  da questa.  sua  insistenza.  Ho  capito, per farmi  venire  giù  dal letto  mi ha   sussurrato che  il mare era  particolarmente   attraente…..non  ho più opposto resistenza  a  questo  corteggiamento  fatto  di sussurri, di carezze  sul  mio corpo  ancora  assopito,  e  di profumi, mirto  eucalipto,  pino ……il  vento, il  mare, il sole  mi affaccio  e vedo  un meraviglioso mantello turchino, ornato  di  preziosi  pizzi bianchi e di luminosi  raggi di sole,  chi sarà  stata la  fortunata dama che per prima lo avrà indossato?  Sarà  stato  in occasione  del suo  sposalizio?  O  del suo  primo  incontro d’amore?   Le stelle della  notte di S.Lorenzo sono  già  tutte  svanite nel sole  di questo nuovo giorno, il mio amato amico  vento continua  la  sua  corsa lungo  questa  terra  di Sardegna,  ora  si riposa,  ora  ritorna  più  impetuoso di prima, pieno di vigore e forza.  Mi  infonde un sentimento  di libertà, di  voglia  di scappare,  di  voglia  di  aggrapparmi  a  lui  e  di  seguirlo in questa  corsa  ora  sfumata  ora  calma   fin sulle  montagne  del  Gennargentu  e poi giù  giù nelle  piccole  calette  che  costellano l’isola  per insinuarsi  in ogni piccola  grotta,  e produrre  un  lungo  dolce   armonico  canto, fatto  di note  che  vanno ad  infrangersi  contro  queste rocce rosse  modellate  dall’infinito moto delle onde e che  si animano  se  guardate  con gli occhi  del profondo,  assumendo  le  forme  che il  mio profondo  vuole,   come  in un sogno  che scorre  e  non si dissolve  nemmeno  con la luce  del sole  qui a  Cala  Liberotto.

 

                       

                                                                                                                         
                                                                                                          Sabato 11  Agosto  2001      
                                                                                                                   Sardegna


Sempre neve e ancora neve

Fino a pochi giorni fa si parlava solo di Concordia, adesso si parla solo di neve - tv giornali vicini di casa fruttivendolo - allora io invece di parlarne adesso  vado a fare una passeggiata - vado a vedere come sta la nostra  TORRE CAMPANARIA  - elta e zlanzeda  (alta e slanciata) sotto questa coltre di neve. Questa sera  vi dirò come l'ho trovata, nel frattempo mi berrò un caffè caldo oppure ancor meglio una cioccolata in tazza per riscaldarmi.
Buon pomeriggio a tutti
Civetta Canterina

mercoledì 1 febbraio 2012

LA NEVE

In questa nostra società che ha come ritmo di vita il corre - l'affannarsi - il prendi qua e là contemporaneamente dove non abbiamo nemmeno il tempo di respirare - ecco che una bella e copiosa nevicata CI FERMA.....
i bambini andranno a scuola a piedi (ben vestiti non come nei miei ricordi le ginocchia gelate per le calze corte - i collant non esistevano) le mamme e i papà avranno si montato le gomme termiche ma l'ingorgo è assicurato - gli appuntamenti annullati e tanto altro. Il tempo sembra essersi fermato e noi tutti con lui.
Ma ricordiamoci  SOTTO LA PIOGGIA FAME,  SOTTO  LA NEVE PANE - dicevano i nostri saggi contadini.
Mai come in questi giorni  riconosciamo di averne bisogno di  "PANE"
Buon ritiro a tutti - almeno alle amiche e agli amici che si sono fermati per la neve